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Spettacolo,  Cinema

LUIGI TENCO E IL CINEMA: LA CUCCAGNA

Sono passati cinquant’anni dal tragico suicidio di Luigi Tenco. Lo ricordiamo nel suo volto più nascosto, quello di attore

Erano giorni di festa, quando Luigi Tenco si tolse la vita, il 27 gennaio 1967, all’interno della stanza n.219 dell’Hotel Savoy. Sanremo era ancora un fenomeno culturale di portata nazionale, una sorta di celebrazione nazionalpopolare e pagana del canto. Era lontana anni luci da ciò che è oggi: una succursale di Amici, un secondo parcheggio per aspiranti artisti ed ex promesse di reality show. Sanremo era un evento. E Tenco, quell’anno, non voleva andarci.

IL SUICIDIO DI LUIGI TENCO COME UN ATTO DI PROTESTA

Così diceva il suo amico Fabrizio de André. Forse perché non era il momento giusto, forse perché si presentava con una canzone del cui valore non era, in fondo, del tutto convinto. Così recitava la sua lettera d’addio , la mattina del 27 gennaio, ritrovata, a fianco del suo corpo esanime colpito da un colpo di rivoltella Bodeo: “Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi.”

LA DELUSIONE

 E’ possibile suicidarsi per una delusione di questo calibro, per un motivo del genere? Qualcuno disse di sì. Gli artisti sono sensibili, si sa, “mica come quel Mike Bongiorno”.Mike Bongiorno che, poco dopo aver appreso la notizia della tragedia, si distinse per aver dichiarato “the Show must go on”, lo spettacolo deve continuare. Anche senza “il gatto” (così era chiamato Luigi Tenco da alcuni suoi amici). Altri non ci credettero, e pensarono a un complotto. Troppe le incongruenze sul luogo della tragedia e poco chiaro il movente del suicidio: Tenco aveva 29 anni, una vita davanti, una donna che l’amava, la bellissima Dalida.

E poi non era così triste e meditabondo come sembrava

Gli amici dichiaravano che si divertiva a ridere e a far ridere, sempre pronto allo scherzo e allo scherno. Eppure, per via di quest’immagine da esistenzialista in dolcevita, troppo giovane per aver combattuto la guerra e andatosene via troppo presto per il ’68, gli cucirono addosso la maglia di ribelle e arrabbiato. Proprio per questo il regista Luciano Salce lo scelse per la sua “Gioventù Bruciata” all’italianail filmLa cuccagna“, del 1962.

LA CUCCAGNA

Un film che racconta la storia di due giovani disorientati all’interno di un Italia che si ritrova nel pieno del boom economico: la dattilografa Rossella (interpretata da Donatella Turri), preda delle lusinghe della moda e dei produttori cinematografici ingannatori e marpioni, e Giuliano (Tenco), che rifiuta il lavoro, la vita borghese e sopratutto la guerra: non vuole rendere servizio alla patria.

LA FIGURA DI GIULIANO NE LA CUCCAGNA

Un ruolo perfetto per Tenco, il quale pur non avendo esperienza attoriale alle spalle, ci si identifica perfettamente: Giuliano cammina a pugni chiusi, è cupo, ama fustigare i costumi degli italiani che si credono emancipati grazie alla porziuncola di ricchezza conquistata che gli illude che la loro vita sarà diversa, ama – o almeno incomincia ad amare –  Donatella, e la corteggia. Tanto lui è renitente alla leva quanto lei sembra esserlo alle sue avance, ma poi cederà: in fondo i due sono simili, l’ansia di adeguatezza di lei e lo sbandierato anticonformismo di lui sono nient’altro che due facce della stessa medaglia. Quella di chi non può riconoscere i propri padri come esempi, e vede nel sacrificio di sé la propria unica sorte. Così Giuliano le dedicherà una canzone particolare: “La ballata dell’eroe”, canzone di De André, e poi cercherà con lei il suicidio, senza riuscirvi…

LA COMMEDIA DI SALCE CON LUIGI TENCO

La commedia di Salce – futuro regista di “Fantozzi” – è in bilico tra dramma generazionale e commedia farsesca. Il suo tocco al fiele non risparmia figurine di arricchiti di mezza tacca, genitori conformisti che non accettano la presenza in famiglia di un figlio gay. Salce fu uno dei primi registi italiani a rappresentare, senza pudore, questo tipo di conflitti nell’Italia di allora.  E in fondo tira le orecchie, seppur con affetto, anche alle velleità dei due protagonisti: Rossella e Giuliano. Interpretati dalla dolce Donatella Turri e lo splendido Luigi Tenco, che poteva lasciarci ancora tante cose da ricordare.

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